19 gennaio, Galleria Christian Stein: si inaugura la prima mostra personale. Tutti i lavori esposti sono databili all’anno precedente: Lampada annuale che si accende una volta all’anno per undici secondi imprevedibili, Scala, Catasta, Sedia, Tubi PVC, Mimetico, Zig Zag e il dittico Ping Pong.

Alighiero Boetti alla galleria Christian Stein a Torino - foto Paolo Bressano

Alighiero Boetti alla galleria Christian Stein a Torino – foto Paolo Bressano

Il sapere d’innumerevoli eventi che succedono senza la nostra partecipazione e conoscenza, per questione di pura impossibilità di spazio e tempo, mi ha portato a fare la lampada annuale quale espressione teorico-astratta di uno degli infiniti avvenimenti possibili, l’espressione non dell’avvenimento ma dell’idea dell’avvenimento (…) Se la Lampada annuale è opera totalmente letteraria, circa Catasta, Tubi o Cartone ondulato, la mia unica risposta è: è una catasta, è un rotolo di cartone spinto dall’interno, è un mazzo di tubi ecc. ecc.”.

Nella profusione di idee, gesti e oggetti, vi è già l’ossessione della scrittura e della bi-dimensionalità, con diversi pannelli dedicati al linguaggio: Stiff upper lip, The thin thumb, CLINO, Frou frou.
A me la scultura o l’oggetto non ha mai interessato”.

Infatti già nel ’67 è totalmente concettuale il Manifesto, e persino il multiplo Contatore. Questa prima personale è recensita da Tommaso Trini con due testi, in “Domus” (febbraio) e “Bit” (marzo). Anche Paolo Fossati recensisce due volte la mostra, nella rivista “Flash” e sul quotidiano “L’Unità”.
Nella primavera successiva alla mostra, Boetti esegue i pannelli detti dei colori. La scritta in rilievo, con effetto tautologico, rimanda al nome del colore industriale che viene steso a spray sulla superficie, come se si trattasse di una carrozzeria.
“(…) con il Beige Sahara e altri sette o otto colori, scrivevo ‘Beige Sahara’ e usavo il colore Beige Sahara”.

Vestito ideato da Alighiero e Annemarie Boetti, al Pipier club, Torino, courtesy Annemarie Sauzeau

Vestito ideato da Alighiero e Annemarie Boetti, al Pipier club, Torino, courtesy Annemarie Sauzeau

Intanto prende un nuovo studio, più grande e luminoso, in corso Principe Oddone. Tra la prima mostra presso la Galleria Stein e la seconda personale, presso La Bertesca di Genova in dicembre, partecipa a tutte le collettive che segnano la nascita dell’Arte Povera, tra Torino, Milano e Genova, in particolare: “Con/temp/l’azione” a cura di Daniela Palazzoli nelle tre Gallerie torinesi Il Punto, Sperone e Stein; “Le parole, le cose – Fluxus: Arte totale” nella Galleria Il Punto e nel Teatro Stabile.
In aprile Cartone ondulato, a forma di ziggurat, viene inserito nel Museo sperimentale d’Arte Contemporanea presso la Galleria d’Arte Civica di Torino. Tra i testi in catalogo, nel saggio Situazione 67, Germano Celant analizza così il lavoro di Boetti: “Le nuove forme monumentali invece di essere di materiali naturali – marmo, granito o altri tipi di roccia – sono realizzate in materiale artificiale, acciaio, formica, plastica, plexiglas (…). Decisamente più imponenti e ‘presenti’ le cataste di tubi in masonite e in plastica di Boetti, sommatorie plastiche di ‘cose’ la cui sola azione di accumulo ha dato un valore autonomo ed essenziale, una specie di ‘catasto’ estetico di elementi allo stato puro, un rifiuto del problema formale”.

Il 16 maggio, AB prende parte, assieme ad Annemarie Sauzeau, Piero Gilardi ed Elio Colombotto-Rosso, alla “Beat Fashion Parade” organizzata al Piper Club di Torino, disegnato e gestito dall’architetto Piero Derossi. La “collezione” firmata da Boetti consiste in abiti di plastica trasparente e colorata, al cui interno si trovavano materiali eterogenei.

In giugno, inizia un work in progress, Formazione di forme. La prima “forma” è quella dei territori occupati da Israele fino al Sinai egiziano, che AB ricalca dal quotidiano “La Stampa” di quella data. Questa e le seguenti “forme” geografiche, registrate su carta e sempre con relative date riprese dal giornale, sono state incise nel ’71 su dodici lastre di rame con il titolo Dodici forme dal 10 giugno 1967.

In luglio partecipa alla collettiva “Confronti” presso la Galleria Christian Stein. Sono presenti opere di Fontana, Klein, Manzoni, Fabro, Kounellis, Lo Savio, Merz, Mondino, Paolini, Schifano e Twombly. Nell’estate compie un lungo soggiorno alle Cinque Terre: nella sua casa a picco sul mare, nel villaggio di San Bernardino tra Vernazza e Corniglia, sperimenta le possibilità della polaroid sul proprio corpo, autoritraendosi in Gran bacino e affidando lo scatto di San Bernardino all’amico fotografo di moda, Robert Cagnoli.

Alighiero Boetti nel suo studio a Torino, via Principe Oddone, foto di Mario Ponsetti, 1967

Alighiero Boetti nel suo studio a Torino, via Principe Oddone, foto di Mario Ponsetti, 1967

27 settembre – 20 ottobre, Galleria La Bertesca di Genova: mostra collettiva “Arte povera-Im spazio” a cura di G. Celant. AB è inserito nella sezione Arte povera e propone una nuova Catasta, non più di trentasei, ma di dodici elementi. Proprio in quell’occasione il concetto grotowskiano di “arte povera” venne coniato dal critico che scrive a proposito di Boetti: “(…) Il modo della definizione si riduce al modo di agire e dell’essere. Così i gesti di Boetti non sono più un accumulo, un montaggio, dell’incastro e del mucchio (…) Ed ecco le ‘figure’: la Catasta come accumulo, l’incastro come incastro, il taglio come taglio, il mucchio come mucchio, equazioni matematiche di reale = reale, azione = azione”. Successivamente in “Flash Art”, nel saggio Arte povera, appunti per una guerriglia, lo stesso Celant riprende l’argomento e definisce Boetti come colui che “reinventa le invenzioni dell’uomo”.

Dicembre, mostra personale nella stessa Galleria La Bertesca di Genova, ma con nuove opere, tutte riprodotte nel catalogo che costituisce la prima importante pubblicazione riguardante AB per la presenza di scritti lungimiranti di G. Celant, H. Martin, T. Trini. Trenta copie del catalogo sono firmate, numerate e accompagnate da un disegno dell’artista; altre copie presentano quattro serigrafie in cinquanta esemplari: si tratta di schemi industriali “a posteriori” riguardanti non solo i lavori esposti, ma altre opere come il Rotolo del ’66 e la Catasta del ’67. Queste serigrafie sono state realizzate dal genovese Rinaldo Rossi, stampatore d’arte: sarà l’inizio della sua collaborazione stabile con Boetti.

Il 1967 è anche l’anno in cui AB realizza Dama, scacchiera di legno in cui i tasselli sono mobili e presentano vari motivi punzonati che vanno ricomposti facendoli combaciare in modo speculare, come nel gioco del domino. Con I Vedenti, basso-rilievo di gesso, AB affronta la tematica sensoriale della vista, stravolgendola, appropriandosi del linguaggio dell’“altro”, del cieco. Infine Manifesto, opera concettuale che presenta un elenco di sedici artisti italiani, tra cui AB stesso: ad ogni nome sono associate diverse combinazioni di simboli. La stampa offset venne spedita come lettera. Al di là delle diverse e stravaganti ipotesi, la chiave di lettura non è mai stata ritrovata.

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